“Ci siamo. Odio i paroloni, mi mettono soggezione non so spenderli: anche a vendere patacche bisogna esserci tagliati. Eppure quando si arriva a questo momento e la bandiera si alza congelando i rumori, provo sempre qualcosa dentro di me – un misto di esaltazione e di panico – che soltanto a paroloni potrei esprimere e che , per incapacità di usarli mi resta in corpo a lungo mi pesa sullo stomaco.

Via!

E’ come se si fosse lasciato cadere un gettone  in una macchina automatica: l’ingranaggio di colpo si mette in moto, il giro è cominciato. Anche per noi di seguito che gli andremo appresso.

L’Alfa si avventa sull’asfalto ancora umido e supera presto i primi partiti. Nel sorpasso potrei toccarli sporgendo un mano dal finestrino. Stanno col petto sul serbatoio, il mento affondato nel cuscinetto di gomma, le gambe allungate all’indietro, le ruote sottili sobbalzano nelle buche e i corpi beccheggiano. Guardo il contachilometri: vanno come dannati, a piccoli gruppi di tre o quattro.”

A distanza di tutti questi anni, mai racconto per me è più attuale, è l’esatta descrizione di quello che io provo ad ogni inizio della manifestazione. Anche la sensazione descritta  in un altro passo dell’articolo di Silvio Ottolenghi  è uguale

“L’aria è profumata di bosco; i prati, le radure, nel folto delle piante che vanno perdendo la rigidità invernale – sono di un verde cupo e, a fil di costa, luccicante di rugiada. Potrei pensare ad una gita se spesso non dovessi abbrancarmi alla portiera.

Frenando alle curve per poi lanciarsi di nuovo in rettilineo, i corridori in salita procedono a strappi, come gocce di pioggia sui vetri. Questo è il giro la più bella e perfida delle corse.”

(Tratto dall’articolo di Dario Zanasi dall’opuscolo in distribuzione del Motogiro d’Italia 1955).

“ Se non temessi di annoiarvi mi sorriderebbe l’idea di abbozzare una specie di itinerario turistico – sentimentale che tenesse conto, seguendo di tappa in tappa la corsa dalle patrizie ville venete che si specchiano in canali trasparenti come lastre di cristallo; delle estatiche acropoli marchigiane e abruzzesi cui fanno d’alari sparsi boschi d’ulivo; dei laghi azzurri che incombono sui mandorli e i carrubi del sud mitico e sofistico; delle strade e dolci saliscendi dell’Umbria sempre drappeggiata di verde sulle quali il cristianesimo s’accorse, prima che altrove, d’aver sconfitto per sempre il drago pagano.

Ma ora non c’è più spazio per i sentimentalismi e perciò mi accontento di concludere immaginandomi la sorpresa che proverebbero quali spettatori del Motogiro, i primi centauri e i primi automobilisti del nostro secolo. A cominciare da quel duca Onorato che esigeva “Landaulets” così alti da permettergli di starsene eretto col busto senza che il suo cilindro toccasse il tetto della vettura.”

Sull’onda dell’emozione di leggere questi passi e un attenta ricerca storica dei percorsi originali sono scaturiti i percorsi del Motogiro, che racchiudono nel loro snodarsi tra le strade d’Italia le sensazioni bellissime sopra descritte, tenendo conto del raccordo tra passato e presente per rendere sempre viva e vegeta questa grande realtà del nostro motociclismo che è il Motogiro d’Italia.

LESSICO DEL MOTOGIRO

(Tratto dall’opuscolo del Motogiro d’Italia 1956, scritto dal giornalista Silvio Ottolenghi)

CORRIDORE: una bandiera lo mette in sella, un’altra lo ferma, tra le due bandiere centinaia di chilometri. Corre con il petto schiacciato sul serbatoio, le mani aggrappate ai comandi, gli occhi sbarrati nell’orbita delle lenti. Immensi. La strada sale, precipita, taglia la pianura e di nuovo si srotola. Mille, diecimila sobbalzi che rompono le ossa. Le ruote frusciano sull’asfalto che bolle al sole, sfrigolano nelle pozzanghere. La polvere impasta il sudore, la pioggia si imperla sulla pelle unta della divisa nera. E il motore picchia nelle orecchie, picchia, picchia, sinché i timpani si rifiutano di vibrare e il rombo diventa un ronzio sopportabile.

Allora nel cervello del corridore si fa una gran quiete. L’orgasmo s’è bruciato in gola lasciando le labbra aride e una tremenda sete ma è scomparso il senso di oppressione, come un peso sullo stomaco. E il cuore batte tranquillo. Per oggi ce la farà ancora. La strada si inerpica, scende, si perde nelle borgate di case bianche, rasenta il mare. La destra ha in pugno l’elastica morbidezza della velocità, i piedi premono sulle leve con naturale automatismo. Ora è facile guidare. Una bandiera a scacchi si abbassa a chiudergli l’orizzonte che un’altra bandiera, alzandosi, gli aveva aperto un secolo fa.

Ce l’ha fatta.

TAPPA: due città distano l’una dall’altra 50 chilometri secondo la carta del Touring; 48 chilometri secondo la mappa delle Ferrovie dello Stato; 450 chilometri secondo l’itinerario del Motogiro.

(Tratto dall’opuscolo del Motogiro d’Italia 1957 alla fine dell’articolo di Alfeo Biagi)

Lo scritto rappresenta perfettamente quello che noi organizzazione proviamo.

“ E’ sera, l’ultima sera del Motogiro. Quando loro sono arrivati, noi eravamo a tavolino, intenti a passare in tipografia i primi servizi dei colleghi.

Così non abbiamo visto niente. C’è stata festa; battimani, discorsi, interviste alla radio, riprese alla TV: o almeno ci dicono che c’è stata tutta quella roba, per noi “quelli che restano”, il Motogiro finisce così: arriva Chierici (Il Direttore della rivista Stadio dell’epoca  organizzatrice insieme alla FMI e al Moto Club Stadio del Motogiro degli anni 50), saluta dice che siamo” sciagurati” perché c’era un errore nella classifica della terza tappa a proposito del 72° posto. Poi entra un giovanotto timidissimo, vestito di cuoio nero, col casco in testa e un foglio bianco in mano. Dice che vuole iscriversi al prossimo Motogiro.

Allora possiamo andare a dormire il Motogiro è finito davvero.”

 

Mi sono dilungato in questo excursus di articoli e pensieri tratti dagli opuscoli dei Motogiri d’Italia degli anni 50, che mi hanno dato le stesse emozioni che io provo ad organizzare e ugualmente vivono i piloti che partecipano.

L’esaltazione di quanto raccontato, è sicuramente il piacere di chi condivide ancora oggi con noi questi momenti, ed è un invito a iscriversi per provare con le proprie emozioni, l’ebrezza di sentirsi attori e protagonisti di questo evento unico al Mondo.

Il Presidente

Massimo Mansueti

 

 

 

 

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